Melma rosa by Fernanda Trías

Melma rosa by Fernanda Trías

autore:Fernanda Trías [Trías, Fernanda]
La lingua: ita
Format: epub
editore: SUR
pubblicato: 2022-05-09T22:00:00+00:00


Ti ricordi quel giorno?

Quale?

Quello. Ti ho vista dalla finestra mentre te ne andavi.

Bugiardo.

Camminavi cercando di non perdere l’equilibrio.

Non sono mai stata portata per l’equilibrio.

Era per quella donna?

L’hai conosciuta?

Sì.

E com’era?

Aveva il collo da uccello.

Ci misi più di mezz’ora ad arrivare allo sportello delle visite. La receptionist aveva un cartellino appeso al taschino della giacca. Nella foto sorrideva, ma la bocca e il naso che avevo davanti erano nascosti dietro un lembo di tela azzurra. Le mascherine avevano trasformato le impiegate pubbliche in bizzarre odalische dello stato. Mi guardò, le ciglia incurvate artificialmente sopra il tessuto chirurgico, mentre le dettavo il nome di Max.

«Non fanno vedere nessuno», disse l’uomo in fila dietro di me. «Lo chieda a chiunque. È la terza volta che faccio la coda oggi».

«È fra i malati cronici», dissi.

In quella parola c’era qualcosa che ammorbidiva immediatamente la disposizione di tutti gli impiegati, e l’odalisca cominciò a battere al computer. Poi girò sulla sedia ergonomica e le sue unghie veloci scartabellarono nello schedario fino a trovare il mio tesserino.

«Secondo ascensore, decimo piano», disse mentre me lo consegnava.

Subito la coda si gonfiò con un lamento, si mosse come un boa constrictor spingendomi di lato.

«Aspetti», dissi. «Vorrei vedere un’altra persona. La signora Adelina Gómez».

L’uomo dietro di me era già andato avanti e si rimise in coda sbuffando. Aveva il volto lentigginoso e tremolante, il doppio mento molle come Mauro. Lo sentii parlare con gli altri, diceva: sono arrivato stamattina alle nove e non trovavano il mio tesserino. L’odalisca esagerò i colpi delle unghie acriliche sulla tastiera e rimase in attesa con gli occhi fissi sullo schermo.

Voglio fermarmi qui, in questo istante, avvicinarmi il più possibile. Perché? Perché fino a quel momento – non un attimo dopo – tutto era ancora al suo posto. Magari un posto precario e poco desiderabile, insufficiente, ma era un ordine a cui mi ero abituata. Avevo imparato a sopportarlo. Come con quelle torri fatte di tasselli di legno: ne togli uno e poi un altro, prima quelli meno rischiosi, poi osi di più, finché la torre non crolla. Se potessi avvicinarmi a quel momento vedrei la mia mano prendere il tassello di legno sbagliato e sentirei la torre vacillare. Salvo che ci sarà sempre un pezzo sbagliato. Non avrei più rivisto mia madre e, presto, non avrei più rivisto nemmeno Max: entrambi sarebbero usciti dalla linea della mia vita, ma nell’attimo al quale voglio fermarmi nulla di tutto ciò era ancora accaduto. Era il momento di grazia, di innocenza. Il tempo anteriore a quell’istante adesso non mi sembra così brutto, era soltanto fermo in uno stato delle cose, in un certo stato delle cose. E a partire da allora, tutto si sarebbe messo in movimento.

«La signora Adelina Gómez non figura tra i nostri pazienti», disse l’odalisca con freddezza meccanica, rivolgendo subito gli occhi all’uomo lentigginoso. Mi voltai a guardarlo, non so perché, intontita da quella frase. Il mormorio scemò e forse fu quello l’istante in cui la torre vacillò, in una goffa danza, un pericoloso dondolio. Eppure non cadde, non ancora.



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